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Prove d'orchestra #crescere #esseredaiuto #faresquadra

Cercare è vivere

In un venerdì teso, sotto la pressione di una gara milionaria, Andrea finalmente si rivela: ex aspirante magistrato, persona smarrita e rinata, con grande calma disarma l’ansia e dimostra che il traguardo più ambito non è vincere, ma prendersi cura degli altri.

È un venerdì pomeriggio di fine gennaio e stiamo lavorando a un progetto che scade lunedì. Si tratta di una gara delicata: un’importante fornitura di prodotti e strumenti per i laboratori, un contratto di otto anni con un’Azienda Ospedaliera già nostra cliente.

Mentre io sono ancora parecchio indietro nella verifica finale della documentazione tecnica, Andrea ha già concluso la sua parte e il tempo scorre inesorabile: sento i secondi scivolare via e, ogni volta che guardo l’orologio, penso che mi serviranno ancora ore per consegnare un lavoro impeccabile – sempre che ci riesca.

Per settimane abbiamo controllato i documenti, scorrendo centinaia di codici simili tra loro, che affaticano la vista e mettono a dura prova la concentrazione. È uno di quei momenti in cui, per una singola svista, rischi di mandare in fumo lo sforzo di tutti, compreso quello dei nostri agenti sul campo, frutto di anni di lavoro.

Forse è per questo che Andrea decide di restare, pur avendo già finito: non mi mette fretta, rimane accanto a me come se, per lui, il tempo non avesse più importanza. Quel gesto, il vederlo lì senza parole superflue, ha un effetto benefico: a poco a poco scioglie l’ansia, la pressione, il terrore di non farcela. Ricomincio a respirare, avvolto da un senso di calma – grande, persino insolito.

È tardi quando, finalmente, esclamo: «Fatto». Ci scambiamo un’emoji su WhatsApp al pensiero che lunedì, alle 8.00, i nostri documenti potranno essere caricati senza intoppi sul portale: ottimo lavoro di squadra!

«Grazie», gli dico mentre entrambi spegniamo il PC. «Non ci capivo più nulla.»
«Ogni tanto è normale» – mi risponde. – «Io non ci ho capito niente per anni.»

È da quel suo «non ci ho capito niente per anni» che inizio a scoprire chi è davvero: lui, più giovane di me, parla come se avesse già vissuto molto di più. Verrebbe da chiedergli: «Come hai imparato, ragazzo, a gestire i momenti di smarrimento?».

Io, per esempio, ho cominciato a fare i conti con quella sensazione preparando gli esami universitari, quando i giorni sembravano sempre troppo pochi per finire il programma; e forse ho imparato a gestire un po’ di disorientamento soltanto diventando mamma… ma questa è un’altra storia rispetto a quella di Andrea.

Alle superiori Andrea è innamorato di matematica e fisica. Eppure, al momento di scegliere l’università, la passione per i teoremi viene superata da un desiderio più grande, e per lui nobile: diventare magistrato antimafia. È il 1992; quando Falcone e Borsellino perdono la vita nella strage di Capaci lui non è ancora nato, eppure negli anni del liceo quell’evento, ormai problema sociale di enorme impatto, segna anche la sua coscienza, al punto da spingerlo a iscriversi a Giurisprudenza.

Il percorso di studi, però, si rivela subito difficile. «Non stavo benissimo» – mi racconta. – «Faticavo a concentrarmi, avevo spesso un cerchio alla testa e paura di tutto; non mi sentivo sicuro né lucido nelle scelte. Ero spossato, con poca voglia di fare, e questo mi rendeva irritabile e ansioso. Alcuni giorni non avevo appetito, altri divoravo qualunque cosa: dentro e fuori di me regnava il disordine.»

A poco a poco Andrea innalza muri verso il mondo: si rinchiude in casa, perde gli amici, mostra il lato più buio proprio a chi gli è più vicino. Pur avendo superato gli esami, il concorso per la magistratura gli appare come una montagna altissima da scalare a mani nude. È convinto di poterne uscire da solo, ma gli mancano forza e slancio per arrivare in cima.

«Non ascoltavo nessuno, in effetti» – ammette. – «Non ero un tipo simpatico in quel periodo.»

Quella montagna, alla fine, non la scala mai. I genitori e la compagna, però, non gli voltano le spalle: rimangono, pur inascoltati, pronti a cogliere un suo cenno d’aiuto, senza mettergli fretta.

Otto anni dopo, in un giorno qualunque, Andrea si stanca dell’isolamento – forse necessario per risalire – e decide che è ora di confidarsi con qualcuno. Esce di casa sorprendendo persino se stesso: la prima scelta davvero imprevedibile di quel lungo periodo.

Per stare meglio, prima di tutto con se stesso, comincia a scomporre le angosce in ostacoli più piccoli, da superare uno alla volta, prima che diventino giganti cupi. È come se, in tutto quel tempo, avesse lasciato maturare la forza e il bisogno di ripensare al proprio «ecosistema», nutrendolo di energie positive e ricostruendo i ponti caduti.

Con questo ritrovato slancio cerca il suo primo, nuovo lavoro, entrando così nel mondo delle gare d’appalto. 

Se questo è Andrea fino a ieri, quello che incontro oggi è un ragazzo giovanissimo che, dopo essersi smarrito, sembra aver trovato la propria strada, affidandosi alle relazioni. 

Ha un mantra che ripete spesso: «Il mio approccio più naturale ormai è personale; non riesco a fare le cose “da manuale”, perciò ho bisogno di entrare in contatto con chi vivo e con chi lavoro, di connettermi, di confrontarmi, di trovare punti in comune o di distanza». Ecco perché cerca di umanizzare tutto ciò che appare complesso. Forse questo modus operandi ha radici familiari.

I nonni paterni, che ora non ci sono più, vivono in una terra vicino Sassari che Andrea, pur frequentata poco, conosce attraverso ricordi e racconti di famiglia. «Erano tagliati con l’accetta» – mi dice, e subito immagino due vecchietti dalla pelle rugosa e scura, sguardo penetrante e bocche cucite, figure operose, silenziose ma concrete.

Quel tratto Andrea lo ritrova un po’ in suo padre. Immaginate la loro famiglia come un triangolo: la base è il papà, che custodisce le emozioni in cassaforte; gli altri due lati, Andrea e la mamma, si somigliano molto – li chiamiamo «i sensibili». Così, quando, dopo otto anni di chiusura, Andrea apre la porta della sua stanza, accetta di lanciarsi nelle nuove sfide che la vita gli propone. Non cambia di colpo: gli ostacoli, grandi o piccoli, gli mettono ancora ansia, e lo stomaco gli resta in subbuglio per settimane. Ma poi accoglie la sfida e affronta quasi tutto, scomponendo l’ansia nelle emozioni reali che prova: paura di sbagliare, vergogna…

Il risultato? Un cuore più leggero. E con un cuore così è più facile accettare, talvolta, una sconfitta, riconoscere qualche debolezza o incertezza, persino rischiare un conflitto. Per sua natura, infatti, Andrea eviterebbe ogni tensione sul lavoro, soprattutto per tenere lontano quel senso di vergogna che arriva quando ti chiedi: «Avrò fatto bene o ho combinato un guaio? E adesso che succede?».

Parlando di suo padre, Andrea confessa di invidiarne la franchezza: se nella vita di tutti i giorni si sente più vicino alla madre, per la dirompente emotività, sul lavoro vorrebbe assomigliare al padre. All’inizio mi sembrava una contraddizione, ma la chiarisce così: «Mio padre riesce a fare una cosa che a me viene difficile: se deve mandare a quel paese qualcuno che lo merita, lo fa diretto; e, allo stesso modo, se deve dirti “bravo”, lo riconosce davanti a tutti. Sul lavoro sa diventare empatico ed essere un faro per i colleghi meno esperti».

Una cosa che rende felice e orgoglioso Andrea, nonostante la giovane età, è aver comprato la sua prima casa ed essersi trasferito da solo a Torino, condividendo tempo e spazio con un invadente gattone chiamato Pino. Quando lo vedo la prima volta in una call mi sembra una nuvola soffice: tutto bianco, con due piccole chiazze color zucca – una sul naso e l’altra alla base dell’orecchio sinistro. Pino cattura subito la mia attenzione con le sue zampette pelose e la coda tigrata, digitando sulla tastiera un messaggio incomprensibile:
36379jfj%==(/%£$£%&/&)JNHFGBKJIYgvT#§*CXO/)()(&=TFvuyv!!!ughdbohui
Ha proprio una passione per il PC, Pino, e lo scopro così. È insieme a lui, a Torino, che Andrea vive la sua prima esperienza lontano dalla famiglia, con cui prima abitava a Collegno. Avete mai sentito parlare dello «smemorato di Collegno»? È uno dei film più divertenti di Totò, che guardavo nei pomeriggi estivi dopo la chiusura delle scuole… Parlare con Andrea è un meraviglioso tuffo nel passato!

Dalla prima sfida che abbiamo affrontato insieme, quella gara così importante, Andrea mi colpisce per la sua intelligenza emotiva e mi trasmette fiducia. Con il suo approccio «personale» lo vedo spianare strade, accorciare distanze, condividere forze e fragilità con i colleghi: qualcosa di indispensabile, secondo me, per crescere e diventare solidi, insieme.

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Scritto da Domenica Lasorsa

con la redazione di Prove d’orchestra

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